3280 m s.l.m.: il nuovo Bivacco Luca Pasqualetti al Morion.
Nelle Alpi valdostane, a 3280 metri di quota, sulla cresta del Morion, è stato installato il 10 settembre del 2018 il nuovo bivacco Luca Pasqualetti progettato dagli architetti ed alpinisti Roberto Dini e Stefano Girodo. Parlarne oggi vuol dire anche immaginare il luogo dove sorge, l’asprezza delle creste e i profili innevati, seguire l’itinerario complesso per raggiungerlo, sentire il silenzio tutt’attorno.
Raccontare il progetto apre, invece, a interessanti riflessioni sul rapporto dell’architettura con il paesaggio e sulla sostenibilità, ricostruire il processo costruttivo, le scelte dei materiali e le diverse fasi del cantiere. Innanzitutto realizzare questo tipo di architettura rappresenta una straordinaria sfida progettuale sia in termini di efficacia che di resistenza: la necessità era quella di costruire una struttura isolata da ogni tipo di rete e in grado di rispondere all’azione combinata di sollecitazioni meteo-climatiche estreme (temperature fino a oltre -20°C, venti fino a 200 km/h, precipitazioni intense e metri di neve al suolo).
Il luogo particolarmente impervio da raggiungere, se non dopo tre giorni di itinerario, si trova su una cengia rocciosa in corrispondenza della sella che si trova tra la Punta Gaia e la Becca Crevaye, con il suo caratteristico e scenografico buco nella roccia, lungo la cresta del Morion che divide la Valle di Ollomont da quella di Bionaz. Una posizione privilegiata dal punto di vista paesaggistico che permette di aprirsi alla vista delle terre alte, incrociando il Mont Vélan, il Cervino, il Monte Rosa e il Bianco.
Il bivacco Pasqualetti è stato ideato nel 2016 e realizzato in diverse fasi: la costruzione delle parti – quattro moduli componibili – in falegnameria, il trasporto prima su gomma e poi in elicottero avvenuti dopo la predisposizione del basamento sulla cresta e, infine, l’assemblaggio in quota avvenuto in un’unica giornata di lavoro. L’edificio è stato concepito come una capanna a due falde dove, rispetto alla classica conformazione a botte dei bivacchi di tipo “Apollonio” – prendendo il nome dall’ingegner Apollonio che ne ideò la conformazione nei primi del ‘900 –, si è optato per una struttura a spigoli vivi che meglio si inserisce nella geomorfologia frastagliata della cresta.
Inoltre, particolare attenzione è stata data all’integrazione cromatica con il contesto roccioso circostante tramite l’utilizzo di una tonalità grigia per la pelle in alluminio che avvolge il bivacco. Per quanto riguarda la struttura i componenti sono interamente montati a secco, senza l’uso di calcestruzzo, e sono tutti riciclabili e certificati ecologicamente. La struttura è la risposta essenziale ai problemi logistici e ambientali, rappresentando al contempo il dialogo continuo e fertile con il paesaggio circostante. Il severo contesto ambientale e la logistica estrema hanno imposto la massima semplificazione costruttiva in abbinamento alla massima efficienza prestazionale in termini di protezione e isolamento.
L'alta qualità dei materiali e delle finiture utilizzate assicura durevolezza e resistenza all'uso, preservando il comfort abitativo e limitando al massimo la futura manutenzione. Per quanto riguarda gli interni del bivacco l’idea è quella di un guscio accogliente e protetto, uno spazio ridotto e ottimizzato – anche negli arredi – per gli escursionisti che arriveranno qui. Dal punto di vista distributivo, l’ingresso è collocato lateralmente per poter accedere in posizione baricentrica e creare così all’interno una divisione tra zona giorno e zona notte. Questo accorgimento ha permesso l’apertura di una grande finestra panoramica sul prospetto principale rivolto a est, da cui si può godere del magnifico paesaggio delle Alpi valdostane, oltre a un buon apporto solare sia in termini di luminosità che di temperatura interna.
Un progetto pensato nei minimi dettagli, sostenibile sia per il processo costruttivo che per le sue componenti strutturali e materiche, un rifugio per 8 escursionisti che ha l’ambizione di mostrare un modo di fare architettura “misurato”, attento e sensibile, frutto di un lavoro partecipato che mira a ridar vita non solo ad itinerario alpino ma anche a ricordare un giovane alpinista. Un elemento temporaneo, la cui struttura potrà essere rimossa alla fine del suo ciclo di vita, per restituire così questo luogo alla montagna.