Ripercorrendo alcuni passaggi dell'ArchiTALKS L’esagerazione come regola, vogliamo riportare alla memoria collettiva l'attività contraddittoria e radicale di Andrea Branzi.
L’architetto Andrea Branzi si è raccontato alle telecamere di Isplora, in modo schietto e sincero, come era lui: sono Andrea Branzi, dal 1966 faccio l'architetto e questa è la mia definizione professionale che è enigmatica, molto enigmatica.
Con queste parole si apre l’ArchiTALKS “L’esagerazione come regola”; ripercorrendo alcuni passaggi del film, vogliamo riportare alla memoria collettiva la sua attività contraddittoria e radicale.
Grande disegnatore fin da bambino, è proprio attraverso lo strumento del disegno che trova la propria strada e il proprio personale linguaggio:
Io, diciamo, ho avuto una lunga vicenda didattica, molto complicata, fatta di molti errori, di molti risultati negativi, fino a che ho trovato la strada dell'architettura che era un’attività di disegno su cui ho ricostruito tutte le difficoltà psicologiche della mia infanzia!
Questo attaccamento radicale al disegno di bambino lo porta in età adulta a un’apertura verso una nuova architettura e già laureato, nel 1966, dà vita al primo movimento radicale internazionale gli Archizoom – insieme a Massimo Morozzi, Dario Bartolini, Lucia Bartolini, Paolo Deganello e Gilberto Corretti – con i quali porta avanti un’attività di ricerca sul nuovo spazio, sulle nuove relazioni, sui nuovi linguaggi, attraverso la scoperta di una nuova musica, una nuova arte, una nuova moda.
Grazie a un’intuizione del gruppo Archizoom e alla ricerca di Andrea Branzi sullo spazio illimitato nasce il progetto “No-Stop City”, che ha proposto di superare i limiti tradizionali della composizione e della funzionalità, aprendosi a un territorio senza confini attraverso l'uso di specchi, un elemento spesso presente nel suo lavoro.
Il linguaggio dell'architettura entra dentro questo tipo di perimetri illimitati e anche in qualche maniera insignificanti, cioè dove l'architettura non corrisponde più a una narrazione precisa ma a un riflesso illimitato di specchi. Questo corrisponde anche a un altro dato e cioè che l'architettura attuale per come è costruita, per come è usata, è una realtà insignificante, illimitata, che non corrisponde esattamente al ricordo di un'esperienza precisa.
Partendo dal Branzi bambino, passando per il Branzi architetto, chiudiamo questo brevissimo excursus sul Branzi “maestro”: L'unica lezione che posso dare è quella della possibile coltivazione dell'intelligenza della conoscenza.
Prosegue, poi, parlando della propria attività di progettista e insegnante:
Per quanto riguarda la progettazione non c'è una metodologia esplicita, nasce dalla ricerca, dalla nuova relazione, da possibilità mentali impreviste.
[…] Non ho mai avuto un metodo unico e un insegnamento lineare, anzi, sia durante architettura radicale sia durante l'attività al Politecnico, ho sempre insegnato qualche cosa, nel senso di non essere interessato a insegnare agli studenti ma piuttosto a imparare dagli studenti, che è un procedimento totalmente diverso, perché quello di insegnare agli studenti ciò che può essere appreso, cioè stimolandoli a essere creativi, andare avanti, a cambiare l'atteggiamento, più che non insegnare una formula su cui poi costruire il profilo di un professionista tradizionale.
Andrea Branzi non ha mai definito chiaramente cosa significhi essere architetto. Ha sempre considerato la professione di designer o progettista difficilmente definibile, poiché ogni progetto, ogni prodotto, ogni oggetto ha una storia e un'origine diverse. Fare architettura significa collegare territori molto diversi tra loro, e per questo motivo non può esistere una definizione precisa di architetto.
Quello che possiamo affermare con certezza è sicuramente che Andrea Branzi ha sempre sviluppato un’attività contraddittoria!
Per approfondire questa dimensione contraddittoria, non perderti l'ArchiTALKS "L'esagerazione come regola", disponibile su isplora.com.
Credits
- Redazione Isplora
- Fotografie: courtesy by Andrea Branzi