Dopo il museo in progetto uno sky hotel per l’azienda svizzera produttrice di orologi.
Si consolida il rapporto fra Audemars Piguet e Bjarke Ingels con un secondo progetto in cantiere presentato qualche mese fa ed ora in costruzione. Si tratta di un hotel per la nota azienda svizzera di orologi di lusso Audemars Piguet con sede a Le Brassus nella Vallée de Joux, a poca distanza da Losanna e Ginevra. Il sito si trova lungo l’arco disegnato dal Massiccio del Giura diventato celebre nel corso secoli per la produzione di orologi e meccanismi meccanici, un arco non solo fisico ma anche simbolico per l’industria orologiaia che parte da Ginevra, passa per La Chaux-de-Fonds e arriva sino a Bienna. Un territorio che rappresenta il fulcro dello “swiss made” e che negli ultimi anni ha sempre di più abbinato alla produzione il racconto del mondo dell’orologeria, non sono un caso l’iscrizione a patrimonio dell’umanità di “La Chaux-de-Fonds / Le Locle, urbanisme horloger”, a sancire un ipotetico rapporto simbiotico fra città e produzione, e i numerosi musei aziendali: da Patek Philippe a TAG Heuer fino a quello di Longines. Ognuno con obiettivi e target diversi.
Seguendo questa prospettiva si può comprendere appieno l’operazione dell’Audemars Piguet Hotel des Horlogers, la scelta di un architetto di fama internazionale per il progetto, in continuità con il lavoro iniziato nel 2014 con il progetto del Musée Atelier, sempre ad opera di Bjarke Ingels. Una relazione non solo spaziale, vista la loro vicinanza, ma anche compositiva fra le due architetture: la spirale del museo e lo zig-zag dell’hotel.
Si consolida il rapporto fra Audemars Piguet e Bjarke Ingels, dopo il museo-atelier, un secondo progetto è in cantiere
Il complesso pensato da Bjarke Ingels Group per Le Brassus fa da filtro tra il villaggio e il paesaggio pastorale che durante l’inverno offre la possibilità di praticare l’attività sciistica. Ed è proprio la neve ad essere la protagonista, la copertura innevata diventa infatti un accesso per le camere d’albergo e per gli spazi comuni verso le piste da sci.
Per quanto riguarda l’hotel, l’idea progettuale dell’architetto danese parte da un tradizionale edificio in linea che –attraverso la tipica logica compositiva di BIG– si stratifica in 5 blocchi orizzontali salvo poi scomporsi lungo uno ZIG-ZAG che ha come fulcro di movimento gli estremi dei parallelepipedi generati dai diversi livelli dell’hotel. Così i blocchi scivolano lungo il terreno assecondandone l’andamento quasi a volersi mimetizzare completamente con la topografia del luogo per poi inclinarsi, fondersi lungo una pendenza che ne denuncia la propria identità e permette all’edificio di entrare in una relazione biunivoca tra paesaggio e architettura.
A partire da queste operazioni plastiche si genera una rampa continua che ha una duplice funzione: copertura e distribuzione, un continuum spaziale tra il contesto e l’accesso agli spazi comuni dell’edificio. La rampa serve così da “contenitore” delle stanze della struttura alberghiera, infatti queste si dispongono adattandosi all’andamento dell’inclinazione della rampa. Lungo la linea spezzata si sviluppano così le stanze, una sequenza di unità modulari che concorrono a formare un terrazzamento che ha come delimitazione tra lo spazio interno ed esterno un’unica parete trasparente. In questo modo il vetro, adoperato insieme al legno per i tamponamenti esterni dell’edificio, diventa elemento compositivo aprendo gli ambienti al paesaggio e fondendosi con questo.
La conformazione a zig zag serve inoltre per organizzare la distribuzione delle camere e guidare gli ospiti agli spazi comuni del bar, del centro benessere, ai due ristoranti e al centro per le conferenze, un’esperienza attraverso circa 7000mq che incentrato sul loisir.
Ancora una volta sembra venire in luce non solo l’approccio e il linguaggio di Bjarke Ingels ma un vero e proprio modus operandi, molto ironico e spesso didattico, che prevede la rielaborazione del concetto di abitare integrandolo con altri usi, un’operazione che inizialmente potrebbe sembrare impensabile. A questo proposito BIG, nel suo libro “Yes is more” (2009), si esprimeva così: "Storicamente il campo dell'architettura è stato dominato da due estremi opposti. Da una parte un'avanguardia di idee selvagge, spesso così distaccate dalla realtà da non riuscire a diventare qualcosa di diverso dalle curiosità eccentriche. Dall'altra parte ci sono consulenti aziendali ben organizzati che costruiscono scatole prevedibili e noiose di alto livello. L'architettura sembra incastrata tra due fronti ugualmente irrecuperabili: ingenuamente utopici o pietrificatamente pragmatici. Piuttosto che scegliere l'uno o l’altro, BIG opera nella fertile sovrapposizione tra i due opposti.”.*
*“Historically the field of architecture has been dominated by two opposite extremes. On one side an avant-garde of wild ideas, often so detached from reality that they fail to become something other than eccentric curiosities. On the other side there are well organized corporate consultants that build predictable and boring boxes of high standard. Architecture seems entrenched between two equally unfertile fronts: either naively utopian or petrifyingly pragmatic. Rather than choosing one over the other, BIG operate in the fertile overlap between the two opposites.”