Isplora call to action - ISPLORA
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Isplora Call To Action: messaggi per il futuro

Professione

La #CallToAction di Isplora vuole dar voce alla comunità degli architetti, diventando il mezzo per un messaggio di solidarietà e prospettive per il futuro. Qual è il nostro ruolo in un momento difficile e delicato come quello che stiamo vivendo? Da questioni più pratiche e concrete che mettono al centro il lavoro e la professione post-COVID19, a riflessioni di natura più ampia sulla responsabilità dell’architettura.

Nelle nostre case, tutti, lontani dal lavoro e dalla professione, dentro ad una ridefinizione delle abitudini e delle priorità, in un momento che può essere utile per fermarci e ripensare al nostro ruolo di architetti, nella società e sul lavoro. Prendiamoci del tempo e uno spazio per raccontare la nostra pratica, i nostri sogni e le nostre storie di architetti, cosa vorremmo cambiare del domani. Come una comunità eterogenea e molteplice che si stringe attorno ad una passione comune, al nostro lavoro, al nostro modo di vedere e trasformare il mondo.

Isplora come strumento per raccogliere i nostri messaggi e riflessioni, uno spazio di condivisione con l’aspettativa di costruire un possibile dialogo sulla professione, per veicolare un messaggio e proporre nuove idee e modalità. Un documento di progetto, a cavallo tra un taccuino dove riportare i vostri appunti e un atlante dove raccogliere i pensieri per domani.

“Esistono i medici, che sono i dottori per la salute dell’uomo. Ma dove sono i medici della forma, ovvero gli architetti? Le metropoli che abbiamo costruito, non sono forse metastasi in tutto il mondo? Una metafora non casuale: metastasi che hanno portato il virus a proliferare tra gli umani. Per questo dobbiamo porci le giuste domande! E questo silenzio, durante questa quarantena, è una tragedia. Ma possiamo prenderlo anche come un valore, un momento di riflessione su quello che è il nostro ruolo di architetti e, più ampiamente, su qual è il significato dell’architettura.” Arch. prof. Renato Rizzi

Numerosi sono i contributi che si sono uniti ad Isplora in quest’azione di riflessione e condivisione, da Cino Zucchi a Italo Rota, MYGG Architecture, Laura Thermes e Franco Purini. La nostra missione è quella di dar voce alla comunità: aiutaci a diffondere un messaggio di solidarietà, di prospettive per il futuro, di idee e sogni. Perchè da un momento di debolezza, possiamo ricostruire le nostre forze.

Nel vostro ambiente di vita, durante questi giorni, vi chiediamo di inviarci dei brevi video (max 1 min.) realizzati con qualsiasi strumento in vostro possesso (telecamere, smartphones, fotocamere, pc, etc.) rispondendo ad una questione che oggi, forse più di ieri, diventa quanto mai necessaria: 

“Superato questo momento difficile, quale sarà il ruolo dell’architetto? Quali differenze, quali cambiamenti, quali soluzioni immagini?”

Inviaci il tuo video, accettando di essere ripostato sui nostri canali social: i migliori verranno pubblicati!

whatsapp: 3472915403 / mail: info@isplora.com

Per approfondire la riflessione sul piano culturale, abbiamo intervistato l’architetto Renato Rizzi, docente ordinario di Composizione Architettonica e Urbanistica allo IUAV di Venezia, che affronta il tema enunciando il “paradosso di questa cultura”. Una condizione, quella di oggi, che si manifesta come l’onnipotenza del digitale sul reale, della scienza sull’empatia, del tecnicismo sulla cultura.

In questo momento difficile, durante questo isolamento, cosa sta facendo? Che cosa sta imparando?

“Per rispondere alla tua domanda, quello che sto imparando ora è purtroppo una conferma. Purtroppo perché la pandemia che ci investe, è tragica. Ma è altrettanto tragico non voler capire che il delirio della globalizzazione (l’il-limitato) è il risultato della prepotenza e dell'arroganza umana di una cultura digitale (tecnico-socio-scientifica) che ha travalicato il limite. Questo vuol dire delirare. Quando un limite giunge al suo estremo massimo si ripiega rivolgendoti contro tutta la sua violenza (uno dei tanti temi di Ivan Illich). Il digitale non ha forse globalizzato il mondo? Non ci ha forse fatto credere che il virus era solo nei computers, e che si potevano comprare a pochi euro programmi anti-virus, virus-free? Ed eccolo adesso il virus-vero, a flagellare tutto il mondo. E non è un virus virtuale. 

Vogliamo forse avere un'altra dimostrazione della hybris tecnico-economico-scientifica, prima di comprendere che la grande cultura è al fondamento di ogni esistenza? La cultura non è una fede spicciola, come il digitale. Essa richiede rischio, impegno, solitudine, responsabilità. 

In una parola: singolarità. L'opposto dell'arbitrarietà. L'opposto del narcisismo individuale. Noi veniamo al mondo orfani e esuli. Da sempre. E ogni nostra vita ricomincia da zero. Noi siamo la totalità del tempo. Degli eterni "Adamo". Ci vuole tutta la vita e il nostro impegno per diventarlo, attraverso le opere che dovremmo compiere. Non che vogliamo fare. Il progetto di architettura ha un orizzonte ben più ambio e più profondo di quanto crediamo.”

E qual è questo orizzonte? Qual è il territorio comune della nostra professione? Quali sono gli aspetti che accomunano la pratica di architetto? Quali sono le possibili azioni e modalità che ci uniscono?

“Domanda vastissima. Ma quello che accomuna la nostra pratica, non può essere altro che la cultura. Anzi, stringerei il tutto alla parola principe: architettura. Poiché ciascuno di noi, vivendo in un tempo critico, (ma non è certo così oggi) dovrebbe rivolgersi sempre e per principio al dominio simbolico delle parole. Le lettere delle parole sono involucri (estetici!!) che trasportano materiali simbolici. Potremmo paragonarle ai vagoni di un lungo interminabile treno che attraversano regioni storiche e continenti temporali. Architettura, vista in questa prospettiva, è una parola miracolosa e misteriosa per la riserva dei suoi significati. Nel suo nome primeggiano due ambiti semantico-simbolici: l'indominabile (arché) e il dominabile (téchne). La posizione che occupa il progetto, l'opera, noi stessi, è esattamente nel mezzo tra questi due ambiti, che a prima vista sembrano contraddittori. Noi siamo comunque nel baricentro della parola di architettura dove convergono coppie disuguali di potenze contrarie. Ma se l'indominabile è un indominabile non c'è alcuna potenza dominabile che lo possa scalfire. Il loro contrasto non può essere spiegato dalle leggi della fisica, poiché dipendono dalle leggi (indominabili) dell'estetico. Pur essendo l'indominabile sempre maggiore del dominabile, le loro forze devono convergere al centro in equilibrio. Ma quel punto non è né calmo né quieto. Lì infuria lo scontro massimo delle forze fino a coagularsi nella grazia. Il più alto valore di ogni forma. Da sempre e per sempre. Diversamente, la cultura del nostro tempo tecnico-socio-scientifico è totalmente rinchiusa in un solo ambito. Quello dei dominabili. Dove però le potenze, ignorando appunto gli indominabili (e questa sì è pura fede, e che fede!!) diventano pre-potenze: cioè dis-grazie.”

La ridefinizione delle relazioni, dello spazio e dell’attività di questi giorni quali riflessioni genera? 

“Ridefinire le relazioni, vorrebbe dire allora, e prima di tutto, spostare il nostro punto di vista dall'ambito dei dominabili (delle tecniche) all'ambito degli indominabili (delle archai). Ovvero: dovremmo posizionare stabilmente il nostro pensiero al centro della parola chiave: archi-tettura. I discorsi da fare sarebbero molto più complessi (ma non complicati!). In questo caso possiamo solo ridurre il tutto a due questioni essenziali.

1- noi viviamo in un tempo e in un mondo pensato senza-limiti.

2- noi crediamo di essere i dominatori di questo mondo il-limitato

Sono solo fedi, però. Superstizioni, alle quali crediamo ciecamente. Che cosa è realmente cambiato, per esempio, dai tempi delle crociate tra iconoduli e iconoclasti a oggi? Oppure, dovremmo scandalizzarci di più per l'istituto della confessione nella chiesa cattolica o per il mondo digitale di adesso? Eravamo più sottomessi allora dal potere della chiesa o siamo molto, ma molto più sottomessi ora dal sistema digitale? E poi ci dichiariamo atei? Ma siamo più bigotti che mai.”

Superando questo periodo, guardando avanti, al futuro, cosa crede possa servire per la nostra professione? Come dovrebbe essere inteso il ruolo dell’architetto? Quali gli aspetti e temi da tenere in conto e su cui lavorare? 

“La nostra professione (in tedesco, beruf-berufung, vocazione, missione) è straordinaria. Proprio perché, sperando di aver chiarito qualcosa prima, nella parola architettura troveremo tutto ciò che ci serve. Mentre invece abbiamo dimezzato il suo nome. Gli abbiamo mozzato il capo, dimenticando il delitto compiuto. Dimenticando anche il mito. Infatti, Medusa,  pur con la testa recisa continua a pietrificarci. Sebbene ci ostiniamo a non voler capire. Il linguaggio binario, 0-1, 1-0, domanda e risposta diretta, ti fulmina. Ovvero, non puoi guardare direttamente negli occhi la terribilità del reale come fa la nostra cultura tecnico-scientifica. Ecco di nuovo Medusa. Dovremmo invece volgere lo sguardo, ora come allora, allo scudo sollevato tra le braccia di Atena (la protettrice della Polis, della città, dunque di architettura!!). Anche se poi il mito dice e non dice. Nasconde l'essenziale. Se lo scudo fosse stato davvero uno specchio, il raggio deviato del mostro sarebbe stato ugualmente fatale per Perseo. Lo avrebbe colpito con la stessa potenza letale. La risoluzione dell'enigma, allora, sta da un'altra parte. Nel canto XVIII dell'Iliade. Sullo scudo di Achille il dio fabbro Efesto aveva inciso tutte le immagini della vita del mondo e dell'uomo. Un lavoro raffinatissimo fatto proprio da "dio", lucente come uno specchio. Questo il sortilegio dello scudo. Lo sguardo di Medusa è immediatamente depotenziato perché il suo raggio viene rifratto negli infiniti raggi delle immagini incise del cosmo. La morale è scontata. Per comprendere la (terribilità) della realtà (Medusa) dobbiamo possedere una cultura rivolta all'unità del cosmo (quale esso è) e di tutti i tempi (ai quali noi apparteniamo). L'idea che il progresso sia una freccia lineare del tempo è una credenza del razionalismo. La storia è fatta di flussi (D. Walcott) e riflussi. Di maree e risacche. Nostro compito assorbire tutta la storia se desideriamo di poter comprendere il mondo nel quale viviamo.”


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