L’intervista a uno dei fondatori, l’Architetto Gerardo Sannella, tra progetti realizzati e in cantiere, la composizione e il rapporto con le diverse dimensioni del progetto
Negli scorsi giorni la redazione di Isplora ha avuto la possibilità di incontrare l’Architetto Gerardo Sannella, uno dei fondatori dello studio milanese MYGG, insieme a Yolanda Velasco e Giovanni Feltrin. Per l’occasione MYGG ci ha aperto le porte dello studio per una chiacchierata, sulle pareti disegni e riferimenti di un’instancabile attività creativa, rimandi e frammenti che si ricompongono nelle loro architetture.
Partirei dalla vostra storia, come è nato lo studio MYGG?
Ci siamo “annusati professionalmente” per 12 anni lavorando insieme in uno studio di architettura tra Londra, Madrid e Milano, io ne ero il Creative Director, Yolanda il Project Director e Giovanni il Development Director. Quando abbiamo fondato il nostro studio nel 2012 è come se avessimo ripetuto questo schema nel nostro modo di operare. Ci integriamo armoniosamente esattamente come le categorie vitruviane: “Firmitas, Utilitas, Venustas”! Se manca uno di questi elementi viene a mancare l’ossatura che tiene in piedi il progetto di architettura.
Poi cosa è successo a partire dal 2012?
Siamo partiti da uno studio piccolino: eravamo noi 3 più un’altra persona fino ad arrivare ad oggi ad essere quasi in 20. Nel tempo abbiamo diversificato molto la nostra progettazione, anche se il nostro “core business” rimane il retail in senso allargato. Detto questo, siamo architetti che hanno voglia di guardare sempre settori diversi, per crescere e per sondare nuovi territori. Ora lavoriamo in diverse situazioni, mettendo in gioco diversi temi, cambiando i dettagli, passando dalla progettazione di abitazioni ai Masterplan in un viaggio continuo alle diverse scale del progetto. Cercando, come diceva Michelangelo, di avere sempre in mente le “seste negli occhi”, per non perdere il senso delle proporzioni. Se da un lato abbiamo il senso della proporzione e della scala come elementi fondanti della vostra produzione architettonica dall’altro emerge con forza la questione del disegno.
Quale ruolo ha il disegno nei vostri progetti?
Il disegno è lo scrigno dell’anima di un progetto, il punto di sorgente, l’origine del mondo. Il disegno che sempre più spesso scompare dal tavolo degli architetti, quando in realtà è la prima sintesi della traiettoria del nostro pensiero sullo spazio, il “colpo di pistola” con cui facciamo chiarezza. Il disegno, quello a mano, è il vero linguaggio dell’architetto. Di questo l’architetto classico ne era consapevole, era conscio del suo ruolo nella società. Inoltre, il disegno ha un rapporto diretto con l’immaginazione, con la parte creativa, la mano segue sempre il cervello, il tutto ad una velocità incredibile.
Quindi il “colpo di pistola” dell’intuizione dell’architetto come elemento primario della progettazione?
Il colpo di pistola è un’immagine molto forte che proviene dal romanticismo letterario e sottintende la forza dell’istinto nell’ideazione di un tema: è un’immagine che mi piace usare per definire quel momento in cui l’idea, in modo fulmineo, passa dal cervello alla carta. Questo è il momento fondamentale in cui nasce un’idea forte e univoca dopodiché inizia la fase di elaborazione e produzione.
Proporzioni, disegno, dettaglio, tutti elementi che traspaiono dalle vostre architetture. Nel progetto per il Consolato del Montenegro a Pontedera, dove non mancano i riferimenti “classici”, come riuscite a far dialogare tutti questi temi?
Il Consolato di Montenegro è un progetto dove abbiamo lavorato solo con la pietra Santafiora e il bronzo. Abbiamo rivestito tutto l’edificio preesistente, di scarso valore, soppesando il suo inserimento nel contesto storico, cercando di ottenere un edificio elegante e misurato. Guardandolo da lontano il progetto racconta alcune cose, poi avvicinandosi ne dice delle altre. La scansione delle aperture, la matericità, i dettagli minuziosi, i grandi pannelli in bronzo e, poi, la cura degli interni, dalla scala alla sala riunioni.
Temi e soluzioni diverse per il progetto del City Center Complex a Malta, quali sono in questo caso gli aspetti più importanti di questa architettura?
Nel caso di Malta si tratta di un grande edificio prevalentemente ad uso alberghiero oltre a due torri residenziali, negozi e spazi pubblici frutto di un concorso internazionale ad inviti che abbiamo vinto nel 2016. Un progetto molto importante per il nostro studio, oltre che formativo, dove ci siamo trovati a collaborare con molti altri professionisti di profilo internazionale. Un’esperienza dove il nostro studio ha avuto un dialogo continuo con il cliente e dove, quindi, il racconto dell’architettura aveva un ruolo fondamentale. Un progetto che si struttura attraverso un sistema di terrazze gradonate e due torri di 40 piani: in questo caso, vista la mole imponente del progetto, era fondamentale la relazione con lo spazio pubblico e con il tessuto esistente.
Il progetto di Malta è un’avventura che partirà nelle prossime settimane con l’inizio del cantiere.
La grande scala del progetto di Malta, il tentativo di mettere insieme le volumetrie richieste dalla committenza con una proposta compositiva innovativa e dall’altro il progetto per una villa sul mare, ad Alassio. In questo caso quali sono i riferimenti?
Quando ho iniziato a progettare la villa di Alassio avevo in mente una foto, “Divers” di George Hoyningen-Huene, dove una giovane coppia di spalle su un trampolino guarda verso il mare. L’idea era quella di una “casa trampolino”, un’abitazione strutturata come un cannocchiale direzionato verso la piscina e il mare, un piccolo tempio che dialoga con il paesaggio e con i materiali nobili dell’architettura: la luce e l’ombra. Parte con una facciata muta, poi, entrati in casa si apre uno spazio longitudinale che inquadra il paesaggio. Fuori emerge l’importanza della composizione, soprattutto nella posa delle pietre, che sono il frutto di una minuziosa ricomposizione e scelta fatta in cantiere. In questo caso il riferimento culturale erano i sentieri finemente cesellati da Dimitris Pikionis che portano all’Acropoli di Atene. Per raccontare questo edificio sto scrivendo una sceneggiatura con un amico regista che spero possa essere presto rappresentato a teatro, un’opera che in realtà vuole parlare del rapporto complesso tra realtà e ideale nell’architettura.
Ora, invece, cosa bolle in pentola? Vi sono dei nuovi progetti all’orizzonte?
Abbiamo da poco vinto un concorso ad inviti per un resort in Oman: un paesaggio bellissimo, un deserto di roccia bianca che finisce nel mare. Poi, c’è un interessante lavoro di restyling per un centro commerciale in Veneto e un Mix Development in centro a Torino. Una città importante per noi, alla quale siamo molto legati, anche per un altro progetto che abbiamo realizzato recentemente: la galleria dei Viali Shopping Centre, un progetto in cui vengono evocate la natura e la tradizione dei luoghi.