Massimo Adario Architetto (MAA), l'intervista per Open House - ISPLORA
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Open House: incontro con Massimo Adario - MAA

Architetti

Conosciamo gli architetti protagonisti del nostro film "Open House": la nostra intervista a Massimo Adario Architetto, le sue esperienze, il rapporto con l'arte

Potrebbe raccontare ai lettori di Isplora lo studio Massimo Adario Architetto (MAA), quando è nato, come si articola e cosa caratterizza il vostro modo di operare? In che modo le sue esperienze formative e di lavoro all’estero, tra Spagna e Olanda, influiscono sulla vostra produzione attuale? Che ruolo ha invece la sua passione per l’arte?

Lo studio MAA – Massimo Adario Architetto è stato fondato nel 2007.  L’approccio progettuale che caratterizza lo studio si è definito nel tempo; tuttavia, è possibile affermare che sin dal principio ogni lavoro si è articolato a seconda di alcune specificità. Vi sono tre elementi preponderanti: il contesto, il cliente e il programma, che risultano giocare un ruolo fondamentale nella pratica progettuale.



Perciò, l’approccio dello studio MAA non parte mai da un'immagine precostituita, ma coglie e sfrutta ogni occasione per sviluppare una ricerca nuova, unica e originale. Ritengo che questa impostazione non sia derivata dalle mie esperienze lavorative all'estero, ma piuttosto la vedo come tipica dell'Italia. Dalle esperienze in Spagna, ma ancora di più dagli anni trascorsi in Olanda, penso di aver appreso ciò che concerne l’organizzazione e la disciplina, aspetti a cui tengo molto.

D’altro canto, invece, l'arte è un interesse personale che con il tempo si è involontariamente intrecciato al mio lavoro.In una maniera volutamente incosciente, cerco di fare in modo che i miei progetti vengano influenzati da ciò che vedo, e che approfondisco ulteriormente con lo studio. Lo studio MAA ha avuto modo, negli anni, di collaborare con diversi artisti su alcuni progetti e installazioni

Per lei il rapporto fra architettura e arte è molto importante, potrebbe esplicitare alcuni punti fondamentali di scambio fra le due discipline? Nel suo caso, nel progetto della sua casa-studio come si struttura la collaborazione con le gallerie d’arte per la scelta delle opere d’arte da inserire nel progetto? 



Sono affascinato dall'approccio al progetto più libero, e spesso in qualche modo meno ideologico degli artisti. L'architetto è portato ad essere inevitabilmente rigoroso, perché in genere deve rispondere a criteri e richieste molto specifici, che spesso a mio avviso restringono il campo di visione del suo operato; d’altro canto l'artista invece lavora molto di più nel campo del possibile, e questo gli dà uno spazio di manovra più ampio.

Penso sarebbe interessante vedere l’architetto recuperare questo spirito: per questo, quando lavoro con un artista, tendo sempre a lasciargli ampio campo di esplorazione, perché voglio essere sorpreso da un approccio al progetto diverso dal mio.

Nello specifico mi interessano gli artisti che lavorano con la materia e con lo spazio: questi due ambiti si relazionano molto con l'architettura. In questo momento, a mio avviso, questi due mondi non si parlano abbastanza: arte e architettura sono quasi sorelle ma, poi, chi studia architettura spesso sa poco di arte e chi studia arte sa poco di architettura. Un peccato, insomma: le due discipline dovrebbero rincominciare a parlarsi, contaminarsi, relazionarsi.

Per queste ragioni per me era importante progettare uno spazio per me e per lo studio MAA che si prestasse a delle collaborazioni nel mondo dell’arte. Nella pratica, il primo interlocutore è quasi sempre la galleria, tramite la quale poi viene trovato l’artista che può essere più congeniale per portare avanti un progetto insieme.



La prima esperienza in questo senso risale a quando l'abitazione presentata nell’edizione di Open House Roma 2019 era ancora un cantiere. In particolare, il progetto è stato portato avanti con la galleria T293, una galleria che nasce a Napoli e si trasferisce poi qui a Roma. Abbiamo in quest'occasione avuto modo di lavorare con un artista messicano, Martin Soto Climent, che tra l’altro si è formato anche come architetto. L'artista aveva ideato un'installazione che presentava una specie di ragnatela che frammentava lo spazio in cui poi ci si muoveva.

Abbiamo nella stessa occasione collaborato con un altro artista della Galleria, David Malijković, che aveva proposto delle foto in grande formato, poi rielaborate, del suo studio. Questa coincidenza mi sembrava interessante: in qualche modo il suo studio e il suo lavoro molto mentale si mettevano a confronto con il mio. Circa un anno fa MAA ha anche collaborato con Jana Schröder, un’artista tedesca che lavora molto sul segno, elementi vicini al mio linguaggio.

Recentemente invece abbiamo collaborato con tre artisti della galleria Federica Schiavo, in particolare Andrea Sala. Artista brianzolo, il suo lavoro si colloca in una zona franca fra arte e design e dimostra una grande sensibilità rispetto ai materiali, utilizzati come nell’architettura e negli arredi, però senza una reale funzione. 

Molti degli interni da voi progettati si trovano nella Capitale. Come ci si confronta con una realtà così complessa come quella Romana? Ci sono state occasioni particolarmente stimolanti e complesse? Quale la situazione per la casa-studio presentata nell’edizione di Open House Roma 2019? 



Dato che lo studio MAA si occupa soprattutto di architettura d’interni, quando si tratta di progetti collocati all’interno dei centri urbani su immobili non tutelati non si sono presentate situazioni difficoltose. Diversa è la questione per i numerosi lavori portati avanti su immobili storici: in questo caso, interfacciarsi con la soprintendenza è d’obbligo; la direzione del rapporto in questo senso dipende molto dal funzionario con il quale ci si deve confrontare.

In questi casi, nonostante la maggior cautela e attenzione richieste, lavorare in questo tipo di contesto può essere oltremodo suggestivo e affascinante. Proprio in questo periodo stiamo portando avanti un lavoro in un appartamento localizzato in uno dei palazzi a mio avviso più belli della Capitale: è stato molto stimolante per me avere la possibilità di lavorare su un intervento contemporaneo in un contesto decisamente caratterizzato storicamente.

Per quanto riguarda l’immobile della casa-studio, posso affermare che si tratti di un’eccezione rispetto al contesto dove si trova: nonostante il quartiere Prati sia caratterizzato da costruzioni talvolta monumentali e nonostante la prossimità di Piazza Cavour e il Palazzo di Giustizia, l’edificio in questione è tipico degli anni ‘70, in calcestruzzo, con ampie vetrate: non è in muratura portante, come sono il resto delle costruzioni circostanti, in quanto si tratta del risultato di una demolizione di quegli anni.

Rispetto agli altri edifici del quartiere, gode quindi di un rapporto con l’esterno molto più diretto grazie alle ampie finestre, che offrono interessanti viste ortogonali sul prospetto dell’edificio di fronte e una luce sempre molto morbida.

Immaginiamo che abbia una vasta rubrica di fornitori di fiducia ai quali si affida per la realizzazione dei suoi progetti. Qual è il suo rapporto con loro, e in che modo vi interfacciate? Come si struttura il processo di produzione degli arredi disegnati da lei, che spesso vengono inseriti nei suoi interni, come nel caso della casa-studio presentata a Open House?

Il rapporto con i fornitori è, per lo studio MAA, fondamentale. Penso infatti che si possa elaborare e definire un progetto nei minimi dettagli, ma senza un’azienda che sappia tradurre magistralmente i disegni nel modo corretto, il progetto verrà inevitabilmente compromesso nel risultato. Per questa ragione, propendo a collaborare con aziende con cui ho già una certa familiarità, o che in ogni caso sono ben referenziate.

Nel tempo ho avuto modo di imparare moltissimo da artigiani bravi, competenti e curiosi: posso tranquillamente affermare che, per lo sviluppo del dettaglio, questa è stata senza ombra di dubbio la più importante scuola. La relazione che si istaura con questi professionisti richiede un continuo, costante scambio da entrambe le parti: le soluzioni che proponiamo in studio hanno sempre bisogno di un continuo confronto e verifica in cantiere o in laboratorio con chi queste idee poi le deve effettivamente realizzare.



Nella "Casa-studio" uno di questi esempi può essere il grande tavolo vetrato componibile che abbiamo realizzato per uno degli spazi dello studio; per la prima volta poi abbiamo utilizzato il corian, nero e verde acido, per realizzare il blocco circolare della cucina. Uno dei materiali caratterizzanti l’appartamento, oltre al legno di noce nazionale, è il linoleum, che abbiamo deciso di non utilizzare solamente a pavimento ma anche a parete, per rivestire pannellature fisse e armadiature: questa scelta garantisce una resistenza molto maggiore rispetto a una vernice o una semplice laccatura.

Guarda il film "Open House - Interni progettati per l'abitare" per sapere di più su come è stata progettata la "Casa-Studio" di MAA. Ottieni 1 CFP approvato dal CNAPPC

Per ovviare all’impossibilità di utilizzare il linoleum in bagno, si è invece optato per una resina, così da poter in ogni caso ottenere la stessa colorazione celeste. La ricerca che portiamo avanti insieme agli artigiani e alle aziende non riguarda quindi solo la forma e il design, ma anche i materiali con i quali si realizzano spazi e oggetti d’arredo, e nell’appartamento vi sono chiari esempi di ciò.

Abbiamo visto sul vostro sito che state realizzando una residenza a Pacific Palisades in California, zona residenziale ai margini di Los Angeles dove si trovano alcune delle Case Study Houses di Arts & Architecture. Ci potrebbe dare qualche anticipazione?

Nell'ultimo periodo, i miei lavori sono soprattutto fuori Roma e all'estero. Il lavoro in questione, che stiamo portando avanti a Pacific Palisades in California, nei pressi di Los Angeles, è completamente diverso da quello che abitualmente facciamo in studio. Lo è sotto molteplici punti di vista: in termini di tecniche costruttive, il modo di relazionarsi con il cliente e i fornitori che stanno lavorando in loco seguono logiche completamente diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati nella nostra realtà quotidiana. Certamente lo studio MAA si è adattato a questa nuova situazione, ma ciò che ritengo imprescindibile anche in queste condizioni è portare un approccio al design e al dettaglio che è completamente e rigorosamente Italiano

Gli esempi delle Case Study Houses realizzate nella zona di Pacific Palisades per Arts&Architecture da Charles e Ray Eames o Eero Saarinen sono validissimi, ma generalmente l’area è caratterizzata da un eclettismo che agli occhi di un progettista italiano - ma penso in generale europeo - lascia spiazzati: si può tranquillamente trovare una casa in stile messicano vicino a una casa in stile Tudor, per poi proseguire con una Provenzale, solo per citare alcuni esempi. La fantasia dei progettisti da quelle parti può veramente essere infinita, e questa mancanza di contesto è un aspetto che indubbiamente mi affascina, ma allo stesso tempo mi spaventa.

Guarda il film "Open House - Interni progettati per l'abitare" per sapere di più su come è stata progettata la "Casa-Studio" di MAA. Ottieni 1 CFP approvato dal CNAPPC

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