Intervista a Pietro Carlo Pellegrini. L'architetto e l'esistente - ISPLORA
Pietro Carlo Pellegrini

Pietro Carlo Pellegrini: costruire sul costruito

Architetti

L’intervista all’architetto Pellegrini, sul ricostruire e ridisegnare edifici storici e sulla ricerca come parte integrante del mestiere dell'architetto.

Architetto Pietro Carlo Pellegrini cosa significa per lei essere uno degli ambasciatori dell’Italian Design Day? Quale messaggio e lezione possiamo portare oltre i confini dell’Italia?

La missione svolta a Luanda – Angola è stata molto interessante e ricca di emozioni, ho fatto due conferenze, la prima il 20 marzo e la seconda il 21 marzo 2019, entrambe tenute presso la CEICA - Centro de Estudos e Investigação Científica de Arquitectura ULA - Universidade Lusíada de Angola. La prima istituzionale e la seconda dedicata agli studenti universitari.

In entrambe le conferenze c’è stata una presenza importante di pubblico, giornalisti sia di stampa cartacea che televisiva e alla fine delle presentazioni, mi sono state fatte molte domande interessanti, aspetto che mi ha molto lusingato in quanto ha dimostrato molto interesse per gli argomenti trattati e il messaggio che è arrivato. A mio parere si tratta di un'attenzione e di un riconoscimento verso il nostro paese, verso il modo di progettare rivolto al riuso degli edifici storici.

Nei suoi progetti si è spesso trovato ad operare dentro e su contesti storici, come potrebbe definire l’operazione di “costruire nel costruito”? Cosa vuol dire, compositivamente parlando, relazionarsi con un’eredità storica?

Costruire sul costruito è attenzione, ricerca, conoscenza dedicata alla storia dell'architettura raccontata dagli edifici dove si ha la fortuna – e la pazienza – di intervenire. Fortuna, perché quando hai l'opportunità di progettare in una fabbrica che contiene mille anni di storia, fatta di una storia che ti viene sussurrata dai materiali, dalle forme e dalle proporzioni, è una gioia e un'occasione unica. Pazienza, perché “riusare” un edificio storico è un elogio al pensiero calmo, alle decisioni ponderate, dove non sono ammessi errori e dove “rispettare” è un verbo da non dimenticare.

Volendo dare forma a questi ragionamenti, potrebbe raccontare alla redazione di Isplora qualcosa in più del progetto di Recupero dell’Ex Fornace a Riccione? In questo caso l’intervento è segnato da una differenziazione nell’uso del laterizio, che non solo permette di riconoscere il nuovo intervento, ma indaga nuove possibilità di utilizzo di questo materiale. Potrebbe illustrare le scelta compositiva e tecnologica?

Il progetto è risultato vincitore di un concorso bandito dal Comune di Riccione, al quale ho partecipato con un gruppo di imprese che avevano UNIECO come mandataria. L'intervento ha rispettato le rovine della ex fornace Pigna, azienda milanese, che ha rappresentato per la città di Riccione un luogo di lavoro importante e che ha segnato la vita di molte persone.




La scelta principale è stata quella di fare dialogare l’esistente, rappresentato dal mattone a vista comune, con un nuovo elemento in laterizio di tipo industriale. Il nuovo elemento, realizzato dalla Fornace di Fosdondo, è servito per costruire le nuove parti che con il tempo si erano deteriorate, donando un aspetto contemporaneo e allo stesso tempo creando un dialogo tra l'esistente ed il nuovo attraverso l'uso dello stesso impasto costruttivo del materiale, con l'argilla.

Atteggiamento diverso per il Memoriale Giuseppe Garibaldi sull’isola di Caprera e per il restauro dell’Ex Convento San Domenico a Canicattì, svolto con Paolo Portoghesi (capogruppo), Marco Casamonti, Maurizio Cucurullo e Antonio Nicosia. La pietra, diversa a seconda delle due isole, emerge con forza da queste architetture sia nel restauro che nelle nuove volumetrie. In questi due casi quali sono state le scelte progettuali effettuate? Quali i dettagli costruttivi più importanti?

Il progetto del Memoriale di Giuseppe Garibaldi è stato redatto per commemorare i 150 anni dell'Unità di Italia, è stato un'opera di recupero di una fortificazione militare ottocentesca, il Forte Arbuticci, dove il riuso è dedicato alla figura dell'“eroe dei due mondi” attraverso l'uso dei materiali presenti, rivisti con nuovi dettagli. Penso al granito della Sardegna e al ferro lasciato a ruggine, oltre all'allestimento degli spazi espositivi trattati in maniera neutra per mostrare maggiormente gli oggetti esposti e le gallerie multimediali.




Di fronte ai quattro corpi espositivi, è realizzata la Piazza Italia, uno spazio pubblico scultoreo, dove la forma stilizzata della penisola, costruita con un mosaico lapideo rosso realizzato dalla Asin Pavimenti, si trasforma in pavimentazione e sedute. Il lavoro è stato realizzato in soli 8 mesi e questo è stato possibile grazie all'unità di missione della Presidenza del Consiglio e all'Impresa Edilerica Appalti e Costruzioni di Roma.




Per quanto riguarda il lavoro di Canicattì è stata un'opera durata molti anni, un progetto dove hanno lavorato più professionisti, una bella esperienza, perché fatta tra persone che si stimano e che sono unite anche da un'amicizia, oltre che dall'architettura. Progettisti guidati da un maestro dell'architettura come Paolo Portoghesi, che con la sua eleganza e conoscenza ci ha comunicato sicurezza e bellezza.

Parallelamente all’attività professionale lei ha da sempre affiancato un’attività di ricerca e di insegnamento. Cosa significa per l’architetto Pietro Carlo Pellegrini “formazione continua” per gli architetti? Secondo il CNAPPC sono necessarie delle politiche e delle metodologie di aggiornamento professionale, lei che cosa suggerirebbe?

La ricerca e l'insegnamento fanno parte integrante del mestiere dell'architetto e sono certo che la formazione deve essere continua e deve essere curiosa nel cercare nuove strade che, a volte, possono anche mettere in crisi tutto quello che hai pensato e fatto, perché solo con queste azioni si può riuscire a crescere e a trovare nuovi stimoli per progettare.

Oggi i crediti sono obbligatori per gli architetti e questo ha comportato, che in molte conferenze, dove un tempo partecipavano pochi appassionati, oggi sono affollate per l'interesse della firma che indica la frequenza dell'evento. Il mio consiglio è di parlare sempre di più e con forza della buona architettura e sempre meno dei regolamenti, perché con la bellezza possiamo stare meglio.

Il resto è solo una conseguenza e non deve essere l'aspetto fondamentale del progetto.

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