Intervista a Antonio Gioli e Federica De Leva (GBPA ARCHITECTS): riqualificazione e innovazione
La redazione di Isplora ha incontrato gli architetti Antonio Gioli e Federica De Leva, rispettivamente fondatore e partner dello studio GPBA ARCHITECTS.
GBPA ARCHITECTS è un importante studio di architettura con sede a Milano e Londra che propone un approccio metodologico multidisciplinare e flessibile nella gestione e nel coordinamento del progetto. Una proposta progettuale che mette in mostra un continuo equilibrio tra tradizione e modernità, trasformazione e recupero.
Potete raccontare ai lettori del magazine di Isplora come è nata la vostra collaborazione? Cosa ha voluto dire unire due tipi di competenze diverse come le vostre, una specializzata nella progettazione di edifici e spazi multifunzionali (Antonio) e l’altra nel recupero e nella riqualificazione di complessi di rilevanza storico-artistica (Federica)? Qual è la filosofia di GBPA Architects?
Antonio Gioli (AG) Proprio per il fatto di avere avuto formazioni ed origini professionali diverse la nostra collaborazione nasce un po’ per caso. E’ grazie ad amici comuni che le nostre strade si incrociano e danno vita ad una partnership ormai lunga quasi 13 anni.
Tutto ha inizio nel 2005 quando, dopo diverse esperienze come project leader in alcune delle maggiori società di architettura di Milano, ho dato il via alla GBPA. Queste esperienze mi hanno permesso di acquisire competenze nel campo della ristrutturazione e della nuova costruzione di immobili sia in Italia che all’estero.
Poi, nel giro di poco tempo si è unita Federica, con il suo bagaglio di esperienza legato ad interventi di riqualificazione e restauro sull’edilizia storica e monumentale, e così ha avuto origine la struttura attuale di GBPA.
E’ proprio da questa originaria diversità, nel tempo attenuatasi grazie alla condivisione ed assimilazione delle reciproche conoscenze ed esperienze, che è derivata la formula vincente del nostro lavorare insieme, e della nostra filosofia, che può essere così riassunta: attraverso la conoscenza del passato si costruisce l’esperienza del presente per progettare la visione del futuro. In sintesi conoscenza, esperienza, visione.
Oggi GBPA vanta una solida esperienza nel campo della progettazione integrata a tutte le scale ed opera su un ampio spettro d’intervento che va dalla nuova costruzione alla riqualificazione di edifici multifunzionali, dal retail alla realizzazione di workspaces innovativi, per i più importanti investitori immobiliari e per primarie società e brand della moda e del lusso nazionali ed internazionali.
Scendendo nel dettaglio dei vostri lavori, il tema della riqualificazione, del retrofitting e dell’adattamento - ai nuovi modi di vivere e usare lo spazio - prende forma attraverso una proposta progettuale innovativa. Come “soppesate” questo difficile equilibrio tra cambiamento e mantenimento? Quali ingredienti troviamo nella vostra “cucina” di architetti?
AG Il termine “cucina” è divertente… Bisogna dire che il tema è oggi estremamente attuale soprattutto se si pensa che oggi in Italia quasi il 55% degli immobili è stato costruito prima del 1970, una quota che sale al 70% nelle città di medie dimensioni e al 76% nelle città metropolitane. Il recupero, la rigenerazione, l’efficientamento energetico e il risanamento antisismico del patrimonio edilizio esistente ormai obsoleto, uniti alle sempre più diffuse politiche indirizzate alla riduzione del consumo del suolo, rappresentano l’attuale indirizzo di sviluppo del comparto edilizio.
Oltre agli edifici di carattere storico vi è un vasto patrimonio immobiliare costruito nei decenni del boom economico, dal dopoguerra agli anni 70, che ha determinato l’espansione verso l’esterno dei nuclei urbani esistenti ma è andato anche a riempire i molti vuoti lasciati all’interno della città. Parlo ad esempio dei molti edifici a destinazione uffici situati in luoghi centrali ed estremamente di pregio che, nel tempo, hanno perso la loro capacità di stare sul mercato, la loro attrattività.
Noi architetti siamo quindi “costretti” a relazionarci, continuamente e per forza di cose, sull’esistente e proprio per questo non è possibile adottare metodologie di intervento univoche.
Tornando quindi alla “cucina”, non esiste, secondo me, una ricetta a priori, il piatto va creato con gli ingredienti che si trovano di volta in volta e consumato solo alla fine. Dipende infatti da molti fattori: dallo stato di conservazione degli immobili, dal progetto originario e da come questi si sposano oggi alle nuove esigenze degli investitori ed utilizzatori.
In questo senso, abbiamo avuto alcune esperienze interessanti negli ultimi cinque anni, di cui l’edificio, di propietà di Antirion SGR, per i nuovi uffici direzionali di Amazon è senz’altro uno degli esempi più rappresentativi. Nella fattispecie, era un edificio pensato su modelli insediativi “standard” per l’epoca, vincolato a livello di planimetria, di organizzazione dei sistemi connettivi, con spazi di lavoro già preorganizzati dall'architettura. Quello che oggi si cerca di fare è dare una maggiore fluidità e flessibilità, conseguenza delle necessità degli spazi di lavoro contemporanei, andando a razionalizzare i sistemi connettivi verticali, la distribuzione orizzontale, la collocazione delle aree di supporto, ecc.
Un altro aspetto importante del diverso modo di concepire gli spazi di lavoro odierni è la valorizzazione degli spazi comuni. In passato tali spazi erano residuali rispetto alle aree propriamente dedicate alla attività lavorativa. Adesso invece, proprio per le tecnologie che abbiamo a disposizione sul lavoro, il legame con la scrivania è sempre più labile, si vanno a ricercare spazi di condivisione e di scambio più informali.
Ad esempio nell'edificio di via Montegrappa (Amazon HQ) abbiamo creato una grande piazza centrale dotata di sedute ed aree verdi dove gli utenti possono sostare ed anche lavorare, e questo è molto apprezzato. Altri spazi importanti sono le terrazze ricavate in copertura: fino a poco tempo fa tali luoghi erano inutilizzati e sostanzialmente destinati ad ospitare gli impianti. Adesso gli impianti vengono posizionati quanto più possibile negli interrati o comunque in zone di poco di pregio per dare più spazio ad aree di lavoro diversificate anche all’aperto.
Nel progetto per Amazon HQ emerge la questione del progetto dell'involucro, della pelle esterna. Quali sono i temi e gli obiettivi che emergono?
AG Il tema dell'involucro è molto importante perché va a toccare varie aree del progetto. C'è un aspetto chiaramente legato all'immagine che rende necessario dare vita ad una facciata attraente e contemporanea in quanto biglietto da visita dell'intero immobile e dell'azienda che va ad abitarlo. Inoltre vi è una valenza di carattere tecnologico: la facciata deve rispondere ad una serie di vincoli normativi legati alla sostenibilità energetica. Infine, il disegno della facciata determina la flessibilità degli spazi interni che spesso, nel momento in cui si va a lavorare sull’esistente, sono ulteriormente vincolati dalle strutture dell’edificio che si cerca di toccare il meno possibile. La progettazione diventa dunque un gioco di mediazione, dove entra in campo la capacità dell'architetto di trasformare questi vincoli in opportunità progettuali.
Nel progetto bisogna quindi soppesare le diverse richieste che vengono dalla normativa o dalla committenza.
AG Regolamentazioni, condizioni ambientali, esigenze economiche delle committenze e futuri fruitori, il contesto urbano, sociale e politico sono tutti elementi che concorrono e devono trovare un equilibrio nello sviluppo di un progetto non solo di riuso.
Spesso quando iniziamo la progettazione di questi edifici non abbiamo un utilizzatore finale, quindi la difficoltà sta nel cercare di trovare un progetto che abbia nella maggiore flessibilità possibile la sua arma vincente. Un'altra cosa è pensare un edificio ex novo dove la mancanza di vincoli iniziali rende più facilmente traducibili tutti i suddetti elementi in un’idea estetica e planimetrica di cui il disegno della facciata ne rappresenta la sintesi.
Nello specifico degli Amazon HQ come funziona la facciata? Quali sono stati gli accorgimenti tecnologici utilizzati?
AG Il sistema di facciata a cellule è stato realizzato da Stahlbau Pichler, per aderire alle scelte progettuali di GBPA Architects. Il montaggio complessivo dell’interno dell'involucro è stato realizzato in 4 mesi con una posa media di 18/20 cellule al giorno. Un totale di 1550 cellule articola un involucro di 8300mq, la cui prestazione in termini di trasmittanza termica è pari a 1.15 W/m2K.
Gli elementi frangisole si sviluppano in verticale e sono articolati in lesene in vetro serigrafato, con densità del 50%, ed elementi in alluminio. Il vetro adoperato è extrachiaro temperato e stratificato mediante la sovrapposizione di due lastre, da 10 mm o 8mm, con interposto nel mezzo uno strato di PVB rigido. Le lesene, pur mantenendosi costanti in profondità con una grandezza di 40cm, si diversificano con altezze variabili fino ad un massimo di 6m. Gli elementi in alluminio sono caratterizzati da una finitura tipo acciaio lucido, con una significativa profondità di 50cm, ed una lunghezza massima di 3.60m.
Il livello di isolamento termico e di esposizione solare è stato minuziosamente studiato dal punto di vista bioclimatico tenendo conto della disposizione planimetrica, per cui l’andamento ripetuto dei frangisole è stato interrotto nei fronti interni che non necessitano di alcun sistema di schermatura. La progettazione attenta delle facciate ha permesso di ottimizzare il comfort termico, visivo, luminoso e acustico degli spazi interni, ricreando l’atmosfera del perfetto ambiente di lavoro e determinando una conseguente riduzione dell’apporto di illuminazione artificiale e condizionamento dell’aria negli ambienti interni.
Federica De Leva (FDL) Quando Antonio dice che siamo "costretti" a lavorare su edifici esistenti non vuole usare tale termine in senso negativo, anzi, proprio l’opposto. Troviamo che lavorare sul costruito sia estremamente stimolante e comporti un pensiero approfondito. L’edificio va studiato, va capito, va interpretato, soprattutto quando ci si relaziona con edifici che nel tempo sono divenuti parti integranti del nostro patrimonio collettivo riassumendo in sé valori storici, culturali e di appartenenza, fondamentali per il benessere dei cittadini e delle comunità.
Per questo motivo fin da subito la progettazione deve essere orientata alla sostenibilità non solo tecnologica e finanziaria ma anche sociale e culturale. Ed il progetto di riqualificazione deve essere finalizzato a rivitalizzare un edificio ormai obsoleto, dargli nuova vita, proiettarlo verso il futuro garantendogli altrettanti anni di vita. E questo è tanto più difficile quanto più si pensa che ciò che progettiamo oggi viene costruito in un arco di tempo che va dai 3 ai 5 anni.
Dobbiamo quindi progettare con il futuro in testa, con la massima flessibilità e lungimiranza per evitare sprechi di materiali ed investimenti.
A questo proposito nel progetto per il Palazzo di Fuoco dialogate apertamente con un’importante architettura, oserei dire iconica, di Giulio Minoletti e Giuseppe Chiodi. Come vi siete posti verso quest’architettura e verso un importante brano di città, qual è Piazzale Loreto?
FDL Proprio nel caso del Palazzo di Fuoco abbiamo potuto fare i conti con un edificio estremamente interessante che purtroppo aveva perso le sue connotazioni più caratteristiche nel corso del tempo. La combinazione di un committente illuminato ed un architetto visionario, Minoletti appunto, ha dato vita ad un’architettura del tutto innovativa per la Milano dell’epoca, collocata in un’area allora periferica ma di sviluppo della città.
Per queste ragioni abbiamo voluto rispettare il disegno originario dell’edificio, mantenendo inalterato il modulo di facciata pensato da Minoletti, peraltro ancora funzionale, ma non solo, riproponendo i punti di forza del suo progetto, ormai venuti meno, come la luce, la trasparenza, il colore.
Trattandosi di un edificio di grande valenza, ne abbiamo ovviamente approfondito gli aspetti storici e culturali per comprendere a fondo il pensiero di Minoletti e il suo modo di fare architettura e dotarci degli strumenti necessari per intervenire con il massimo rispetto su una sua opera.
Ci è venuto in aiuto anche il nostro committente, Kryalos SGR, che decidendo di rinnovare questo palazzo, è stato tanto coraggioso quanto il primo proprietario, riconoscendone la valenza e intervenendo in un’area della città che fino a ieri non era percepita come un luogo del tutto positivo. La rinascita del Palazzo di Fuoco è un modo di sviluppare e di migliorare anche il contesto urbano e sociale che c'è intorno.
Di nuovo come per Amazon HQ, centrale per il Palazzo di Fuoco è il discorso della facciata e della luce. Ci sono dei dettagli particolari?
Antonio Gioli (AG) Come diceva Federica, nell’approcciare il Palazzo di Fuoco di Minoletti abbiamo cercato di capire quale erano i significati e i significanti del manufatto. La facciata preesistente aveva una tecnologia costruttiva obsoleta ma nel complesso funzionava molto bene perché faceva della trasparenza, della permeabilità visiva la sua caratteristica primaria, caratteristica ancora oggi fondamentale.
Quello che non funziona più oggi è ciò che avviene all’interno dell’edificio, per questo motivo abbiamo optato per una scelta architettonica forte, svuotando completamente il cuore dell'immobile e creando una grande corte coperta, utilizzabile da parte di tutti i futuri inquilini.
Altro aspetto su cui abbiamo lavorato sono gli ingressi: nell'edificio preesistente non era chiaro da dove si entrasse. Abbiamo così creato due grandi accessi: uno su piazzale Loreto e l'altro su viale Padova, dove – demolendo una porzione di edificio – abbiamo creato un grande varco che diventa una reception a tutta altezza completamente trasparente. Ancora, all'interno della corte abbiamo portato il verde, l'acqua, dando vita ad una zona calda, una zona protetta, tutti temi molto cari a Minoletti e presenti nelle sue architetture.
Quindi il tema vero è cercare di capire quali sono i valori dell'immobile già costruito, cercando di attualizzarli e adattarli alle nuove esigenze.
Per chiudere, cosa si aspetta GBPA Architects per il 2019? O meglio cosa bolle in pentola?
AG E FDL (Ridono) Fortunatamente stanno bollendo molte cose sulle quali però c'è un po' di riservatezza… tutti progetti molto interessanti.