Far l’architetto per me è fare un mestiere, è un mestiere come quello del regista. Dobbiamo avere una visione, lavorare con altre persone per ottenere questa visione.
ArchiTALKS ci porta tra le colline di Chieri, nella campagna Piemontese, alla scoperta della figura di Stefano Pujatti, architetto fondatore di ELASTICOSPA, che insieme a ELASTICO3 dell’architetto Alberto Del Maschio ed ELASTICO DISEGNO dell’architetto Sara dal Gallo forma il gruppo ELASTICOFarm, studio di architettura e design attivo a livello internazionale con sedi in Italia e Canada.
Lo studio si chiama ELASTICOFarm ed è la composizione di due nomi. “Farm”, perché siamo in una fattoria, ci sono i cavalli e i cani, insomma siamo in campagna. “Elastico” invece era un mantra della mia famiglia, perché quando mio fratello Paolo era molto piccolo lo ripeteva quasi ossessivamente: questo per noi è diventato un augurio a formare uno studio che in qualche modo facesse un’architettura che fosse “elastica” appunto, capace di adattarsi alle diverse situazioni.
La lezione muove dalla biografia e dalla formazione dell’arch. Pujatti, attraverso gli apporti e le influenze di maestri quali Gino Valle, Aldo Rossi e Manfredo Tafuri, per citarne alcuni della scuola veneziana dello IUAV. L’architetto si definisce un “cowboy born in the wrong place”, un cowboy nato nel posto sbagliato, da sempre affascinato e propenso a spostarsi verso Ovest. Così dopo gli studi allo IUAV si sposta in America e frequenta lo Sci-Arc di Los Angeles:
Il posto dove insegnavano quelli che in qualche modo io detestavo, arrivando da Venezia, cioè Thom Mayne di Morphosis e Wolf Prix di Coop Himmelb(l)au, con i quali ho collaborato, e tutto il movimento decostruttivista. Un movimento che non conoscevo e non capivo, o meglio, conoscevo ma non capivo: proprio perché non capivo, mi sono reso conto che poteva essere una sfida interessante. Per cui mi sono spostato lì e mi sono innamorato di questo nuovo modo di vedere il mondo, di vedere l’architettura e la professione.
Non solo architettura, i riferimenti dell’architetto Pujatti affondano anche in “universi culturali” diversi, soprattutto nel mondo dell’arte: dall’astrattismo all’arte povera, elementi e suggestioni continue nella pratica dello studio.
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Attraversando le origini dell’attività professionale, la lezione arriva, poi, a sviluppare gli argomenti propri della pratica progettuale sviluppandone i temi, le aspirazioni e il metodo. Un approccio basato sul rapporto con il tempo del progetto e con quello del pensiero, un rapporto che spiega l’attento lavoro di disegno e di elaborazione di modelli fisici per sviluppare l’architettura.
Una delle caratteristiche del nostro studio è quella di fare moltissimi modelli a diverse scale, anche se questa pratica prende moltissimo tempo perché li facciamo tutti a mano e non utilizziamo stampanti, taglierine a laser o macchinari simili. Questo perché il tempo che dedichiamo a fare il modello è per noi tempo di progettazione: chi fa un modello non è un semplice “esecutore” ma è un progettista che usa il modello per ragionare. Crediamo che il fattore tempo sia sempre fondamentale, nella progettazione come nella durata di un cantiere, perché molto spesso il tempo dà la possibilità di maturare alle cose. Come un buon vino, il progetto ha bisogno di tempo per arrivare al massimo del suo effetto.
Un’architettura spesso filtrata e mediata, basata sull’ascolto e sul dinamismo del progetto, un “elastico”. I temi centrali dell’attività progettuale di ELASTICOFarm illustrata poi durante la masterclass mettono in mostra una duplice prospettiva. Da un lato, possiamo trovare il rapporto tra natura e costruito, in particolar modo la ricerca sulla possibilità di trattare i fenomeni naturali come elemento progettuale, per capire come relazionarsi alla natura.
Costruiamo per relazionarci con le forze della natura ma, all’inizio, soprattutto per proteggerci da queste stesse forze. Come ci rapportiamo oggi con esse, con il caldo o con il freddo? Mettiamo il “cappotto” alle case, ma è forse questa la risposta più giusta? Io non ne sono certo: trovo tutto il tema della sostenibilità molto superficiale, perché non credo che siano ancora state trovate delle vere soluzioni, mentre tutti parlano più o meno della stessa cosa. Noi vorremo parlare di questo tema in un altro modo, andando alla radice del problema, studiandolo, e da questo trovare delle soluzioni che non possono che essere ogni volta diverse.
Dall’altro lato invece, sta la materia nel progetto di architettura, elemento strutturale o di decoro. Due filoni di ricerca indipendenti, o che spesso si incontrano, e si parla di natura tramite il materiale.
C’è chi usa il materiale come un’opportunità progettuale, e chi lo usa semplicemente come modo di tradurre un’idea in un qualcosa di realizzato. Noi tentiamo di usare anche questa opportunità per fare progetto, usare i materiali nel modo convenzionale o non convenzionale è sempre una scelta. Anni fa, i modernisti insegnavano che un edificio dovesse avere al massimo tre materiali. Mi chiedo perché: un edificio può averne anche trecento…l’importante è come li mettiamo insieme, come dialogano tra di loro e che rapporto instaurano gli uni con gli altri.
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Le tematiche individuate trovano spazio attraverso le molte realizzazioni dello studio, che mettono in luce appunto la costante ricerca e sperimentazione condotta dall’arch. Pujatti, un lavoro compositivo che guarda allo sviluppo degli spazi, alle funzioni, ai materiali impiegati (laterizio, pietra, calcestruzzo e legno) e alle soluzioni tecnologiche utilizzate.
Due, tra i numerosi progetti approfonditi, possono essere considerati esemplificativi di queste tematiche: la Maison e l’Atelier Fleuriste a Chieri. Partendo dall’Atelier Fleuriste, l’architetto ha raccontato:
Abbiamo riproposto la forma originaria dell’edificio ma in vetro, e in questo pensavamo di essere “contemporanei” o “moderni.” Non ci siamo accorti però che, climaticamente, una scelta di questo tipo significasse creare una situazione estrema all’interno della serra, sia per le persone che per le piante. Soprattutto in estate, la facciata principale vetrata, esposta a nord-ovest, sarebbe stata esposta per tutto il pomeriggio all’irraggiamento solare. Capire questo ci ha preoccupato, ma ci ha anche stimolato a cercare una soluzione, che in realtà è stata trovata dal termotecnico. Semplicemente, ci ha detto che l’unico giorno in cui l’involucro avrebbe funzionato bene sarebbe stato il giorno in cui avesse piovuto.
Non solo una soluzione tecnica, "l’acqua che scende lungo la facciata crea uno spazio urbano, comportandosi come una fontana; dall’interno inoltre crea un filtro verso l’esterno che non ci permette di vedere le case di fronte, creando un effetto di percezione ma di non-chiarezza tra ciò che avviene tra le due parti di questo muro tecnologico".
All’interno del cortile dell’Atelier, sorge la Maison Fleuriste, dove il mattone forato viene “spaccato per evidenziare la produzione a trafile e queste righe che si vengono a creare nel mattone,” e utilizzato come rivestimento esterno, permettendo alla materia di sfogliarsi, ottenendo un “risultato imprevisto”.
Il mio suggerimento è sempre quello di conoscere il modo convenzionale di utilizzare un materiale, studiare perché viene utilizzato in quel modo e poi andare a capire se c’è una via alternativa, sapendo quali sono i pregi e gli eventuali problemi, prevedendoli o accettandoli.
Esempi che diventano possibili insegnamenti per l’ascoltatore, riferimenti nella pratica quotidiana o suggestioni per un ripensamento della professione, per una ricerca architettonica più vicina ai temi contemporanei, alla questione ambientale, e per un laboratorio su cui costruire un’idea di futuro.
Credo per il futuro ci saranno grandi opportunità per l’architettura e per gli architetti. La cosa interessante della cultura dell’architetto è che è una cultura che spazia e che può spaziare in tutti i campi. E questo può produrre progetti migliori.